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Recensione "Il nostro grande niente", Emanuele Aldrovandi

Questa è la storia di chi ha paura della morte, ma anche della vita, di un incidente e di un grande buio. È la storia di lui che stava per sposare la “donna dagli occhi grandi”, la sua metà perfetta della mela. Ma poi il nulla, un bagliore, e il “famoso tunnel” da cui in pochi hanno la fortuna di uscire. Il nostro protagonista si catapulta in una realtà parallela, in cui vede la sua fidanzata andare avanti, sposarsi, cambiare città, fare dei figli ma senza di lui.

 

È proprio una brutta sensazione quella di essere perfettamente sostituibili; è difficile anche abituarsi all’idea delle cose che non vivremo più perché non stiamo vivendo più. Ancora più terrificante è avere la possibilità di svegliarsi, di tornare, di capire che l’incubo fatto può essere migliore della realtà. Il racconto è particolare, la scrittura fluida, e il pensiero del protagonista ossessionato perennemente dalla morte, dalla fine di tutto, dalla decisione di distruggere quello che con tantissima fatica si è provato a costruire. Il protagonista pensa che tutto ciò che ha avuto fino ad oggi non ha forse senso, proprio perché é destinato a finire.

 

Se ognuno di noi potesse immaginare il suo funerale, le facce affrante dei parenti, e capire all’improvviso che ha una seconda opportunità cosa succederebbe? A chi potremmo mancare, chi ci ricorderebbe sempre? Chi proverebbe a sostituirci? Che cosa lasceremmo andando via? Con questi e molti altri interrogativi, l’autore al suo esordio ci fa sorridere, ma soprattutto riflettere sulle domande che molto spesso poniamo a noi stessi, fondendo a volte sacro e profano, cinematografia e realtà.

 

Se questo romanzo fosse un film il primo tempo sarebbe sicuramente troppo diverso dal secondo. L’inconciliabilità dei due momenti narrativi nasce dalla consapevolezza che solo “morire” può dare: se è vero che tutto è destinato a finire, bisogna davvero e fino in fondo provare a vivere per ciò che non siamo in nessun caso disposti a perdere.  

 

 

Rita, libraia Giunti al Punto di Catanzaro

Emanuele Aldrovandi
Puoi ancora amare sapendo che sei sostituibile per chi ti sta accanto? La storia di un'ossessione che ci sfiora, o ci ha sfiorati, tutti. Un romanzo d'esordio che spiazza, manda in crisi, commuove. Tra pochi giorni lui avrebbe sposato la ragazza con gli occhi grandi, se non fosse morto in un incidente stradale. E adesso la vede tornare in quella che era la loro casa, trovare il suo computer sul tavolo e le ciabatte che lei gli aveva regalato in corridoio, dove lui le ha lasciate. La tazza invece è sul bordo del lavandino: lei ci infila il naso dentro e scoppia a piangere. Non vuole mangiare, anche se la madre insiste, ha perso la fame. Poi però, distrattamente, beve un sorso di caffè, morde un biscotto, e si stupisce di trovarlo buonissimo, come prima che lui morisse, come sempre. Forse è in quel momento che inizia il suo faticoso ritorno alla vita, ed è la voce di lui a raccontarlo. Giorno dopo giorno, vede scorrere l'esistenza di lei - che cambia città, si sposa, ha figli - catturando le istantanee di un tempo che non gli appartiene; le alterna ai ricordi di un amore che credeva unico. Ma se avesse l'occasione di vivere ancora, come reagirebbe alla certezza che del suo grande amore, nel giro di un attimo, potrebbe non restare niente? Con leggerezza e disincanto, Emanuele Aldrovandi si interroga sulla natura delle relazioni, mettendo in scena il desiderio indicibile che il mondo finisca con noi. «Se l'universo restasse fermo, anche solo per un secondo, la gravità lo farebbe collassare su sé stesso. Per questo motivo, nonostante io sia appena morto, i pianeti continuano a roteare intorno alle proprie stelle, le galassie procedono nel loro costante allontanamento le une dalle altre e tu giri la chiave nella porta di quella che fino a qualche ora fa era casa nostra».
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Sarebbe bello poter piegare il tempo in due, come se fosse un foglio di carta, farci un buco e congiungere il presente con il passato. Io potrei essere ancora vivo, nel passato. Attraverso quel buco potrei allungare la mano e stringere la tua, nel presente

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