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Recensione "Nobelle", Sophie Fontanel

“Mondi si occupano di noi in silenzio”. È uno dei versi che Annette Comte scrisse all’età di dieci anni, quando capì di voler diventare una scrittrice, ma non solo: quelle parole per lei, destinataria di un premio Nobel per la letteratura, rappresentano anche la bambina che è stata, il primo amore che ha avuto, e la prima cocente delusione che ha vissuto. Nel suo discorso, dopo aver ritirato il premio, racconta di quell’estate del 1972, della vacanza che suo padre Henri le regalò nel sud della Francia grazie all’ospitalità di un editore Bernard, e di come scoprire chi siamo ha molto a che fare con ciò che pensiamo di aver perso.

 

Sono giorni bellissimi quelli descritti da Annette che in questo viaggio racconta del suo primo amore Magnus, figlio di Bernard, così diverso da lei e apparentemente così sicuro di sé. È dura però quando tuo padre è un editore e tu non riesci a scrivere nemmeno una parola. È dura se non hai i genitori di Annette che ti amano e ti supportano nei tuoi sogni, e ti regalano una penna stilo blu perché pensano che tu possa scrivere, che tu abbia del talento. Ed è ancora più dura per Magnus, perché il talento logora chi non lo ha, un po’ come il potere. Annette si innamora di Magnus, e lo fa con la purezza di un cuore che batte più forte, con la leggerezza degli schizzi in piscina e con la convinzione di non poter essere tradita mai. Solo che a volte non va come vorremmo, proprio perché spesso ci aspettiamo noi stessi dagli altri.

 

In questo libro c’è una figura importante e rappresenta l’orecchio che tutti vorremmo ci prestasse attenzione, Keblér. Lui è uno scrittore molto famoso, che vive nella stessa zona in cui Annette fa le vacanze e che le insegna cosa sia il “rammarico”. Ma soprattutto le fa comprendere che le brutte azioni sono sempre da rispedire al mittente, e che chi approfitta delle tue debolezze forse non ti vuole poi così bene. A volte bisogna trovare il coraggio di voltarsi e andarsene quando si comprende che chi ci ha ferito probabilmente non ha il nostro stesso cuore.  

 

È un romanzo di formazione, scritto con grande delicatezza e incanto, e che indaga le emozioni pure e incontrollabili che appartengono all’infanzia. Mette in luce quanto l’amore può dare e quanto l’amore può togliere, e ci spiega che cresciamo proprio nel mezzo di questo gioco di somme. E diventare grandi a volte significa andare avanti, con le nostre nuove consapevolezze. 

 

Rita, libraia Giunti al Punto di Catanzaro  

Sophie Fontanel
Parole tra le dita, ecco qualcosa che non tutti avevano...
Il 10 dicembre 2019 Annette Comte riceve il Premio Nobel per la letteratura e durante il discorso davanti ai membri dell’Accademia ricorda di quando a dieci anni capì che strada avrebbe preso nella vita. Racconta quel che ha rappresentato per lei l’estate del 1972, trascorsa nel sud della Francia insieme alla famiglia, ospiti di un editore amico del padre con un figlio della sua età: Magnus. Annette si innamora di lui all’istante. E sarà proprio questo sentimento forte e incondizionato (oltre alla sua nuova stilografica blu) a farle scoprire la grande passione per la scrittura. L’estate passa come un incanto, finché non arriva Magalie, graziosa e impertinente, che farà precipitare Annette nel tormento del primo cuore infranto. Nel pronunciare il suo discorso a Stoccolma l’Annette adulta rivive quella stagione prodigiosa con immutato slancio, scendendo a patti con quel che l’amore dà e soprattutto con quello che toglie.
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Conosco il mio crimine: ho usato l'amore per scrivere.

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