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Recensione "I libri di Jakub", Olga Tokarczuk

Alcuni libri spaventano per la loro imponenza. Altri destabilizzano per il loro contenuto. Altri ancora si divorano per la capacità dell’autore di generare quell’ansia del “come va a finire”, divertendo il lettore e al contempo regalando quella meravigliosa sensazione che si chiama turn-page, il voltare una pagina dopo l’altra senza accorgersi del tempo che passa. I libri di Jakub racchiude tutte e tre le casistiche. È imponente, mastodontico, poderoso nelle sue 1120 pagine (numerate al contrario: il libro parte da pagina 1114 e procede a ritroso, in onore alla letteratura ebraica). L’autrice, Olga Tokarczuk, è vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura. 

 

Quello che vi ritroverete fra le mani è un lungo viaggio che attraverserà tradizioni, usi, costumi, sogni, guerre, rivendicazioni, storie di amore e morte osservati “dall’alto” da una voce fuori dal coro: quella di Yente, una vecchina che attende l’angelo della morte nel suo letto, ma che osserva un’epoca densa di personaggi, truffatori, amanti, eretici, profeti e quelli che Dostoevskij avrebbe definito “umiliati e offesi”. Un intero universo popola le pagine di questo romanzo-enciclopedia, ambientato nel ‘700 e che ha come forza centrifuga la figura di Jakub (personaggio realmente esistito), carismatico e ispiratore, il deus ex machina di un movimento, il frankismo, bollato come eretico e le cui origini resteranno un mistero.

 

Olga Tokarczuk ambienta quest’opera monumentale in una regione oggi inesistente ma emblematica, quella che nel ‘700 si chiamava Podolia e che oggi troverebbe collocazione fra l’Ucraina e la Moldavia, quella parte dell’Europa Centrale così controversa e contesa ai nostri giorni, con il suo retaggio storico spogliato di interessi economici e guerrafondai (il romanzo è uscito in lingua originale nel 2014). 

 

Quando hai a che fare con un libro così lungo, la molteplicità dei temi affrontati è quasi un obbligo, benché accompagnato da un unico leit motiv, quasi un comun denominatore che prenda per mano il lettore e gli sussurri, pagina dopo pagina, ciò per cui valga la pena vivere, quali siano le battaglie che valga la pena combattere, quali siano i valori di un’umanità degna di questo nome: ognuno, leggendo il libro, potrebbe percepire un messaggio diverso, modulato sulle note di una colonna sonora che lega le storie dei mercanti, dei religiosi, dei mercenari, dei rabbini, delle donne sfruttate e di quelle orgogliose, di un popolo che è la sintesi di tutti i popoli della terra. Ma il messaggio alla fine è universale: quale che sia la cultura di appartenenza, l’uomo che compie il suo percorso sulla Terra ha uno scopo. E lo scopo non è un obiettivo da raggiungere, ma il superare ogni giorno se stesso e la propria umana, limitata visione del mondo, con i suoi tormenti, le sue incertezze, il suo coraggio e talvolta la corrente contraria dei falsi benpensanti e di coloro che sono terrorizzati da tutto ciò che è diverso dalla propria cultura.  

 

Olga Tokarczuk si è proposta un compito ambizioso, attraverso una favola, attraverso documenti inventati e reali al tempo stesso, attraverso la voce dei personaggi, attraverso le visioni dell’anziana in punto di morte, attraverso noi lettori, in definitiva: si è proposta quello che da sempre la letteratura ha cercato di fare, e cioè unire. Non importa chi sei, da dove vieni, dove vuoi andare e come pensi di farlo. Importa che tu sia fedele ai tuoi valori, valori che sono lontani dall’essere considerati universali – Jakub persegue idee che scoprirete molto discutibili – ma che dicono di te più di quanto potrai dire di te stesso a parole. In fondo, il senso di noi tutti in questo mondo forse è solo questo: quello di lasciare una traccia. Quale, sta a te deciderlo. 

 

Lorenzo, libraio Giunti al Punto di Mesagne

 

Olga Tokarczuk
Jakub Frank è un giovane ebreo di origini oscure che da un villaggio polacco parte alla volta di un mondo che vuole cambiare. Il mondo sta già cambiando, in verità: siamo alla metà del Settecento e nuove idee sconcertanti e attraenti guadagnano terreno tra salotti e accademie. Jakub invece lavora con la gente, tra la gente: viaggia per l’Impero ottomano e quello asburgico, seduce con la parola e la persona, si offre, anima e corpo, come nuovo messia, sfolgorante di verità, eccentrico, irresistibile. I suoi seguaci farebbero – e alla fine faranno – qualunque cosa per lui: cambiano nome, casa, religione, identità. E lui da capo naturale diventa un tiranno sottile, suadente e imperioso, manipolatore. Creerà la sua corte e diventerà amico dell’Imperatrice, conoscerà la gloria, la prigionia, il lusso, la malattia, l’esaltazione, lo sconforto, senza mai negarsi niente, senza mai fare un passo indietro, trascinando con sé e con la sua famiglia il popolo di innocenti e reietti, fedeli e opportunisti che si è scelto e che spinto da ragioni diverse resta con lui fino alla fine. La parabola di un uomo eccezionale – Jakub Frank è veramente esistito – disegnata con minuzia contro uno scenario mobile, una commedia-tragedia corale in cui gli individui hanno tutti il loro momento alla ribalta. In quest’opera straordinaria, frutto di anni di studi, scavi e scoperte, Olga Tokarczuk rivisita i temi che da sempre le sono cari – i vagabondaggi, i confini e il loro senso, la storia grande e le storie piccole – con l’immaginazione, gli scarti sorprendenti e la capacità di indagine dell’animo umano che sono i suoi tratti di grande scrittrice. Un romanzo epico in cui smarrirsi e ritrovarsi, un viaggio nel tempo e fuori dal tempo, come quello di Yente, la vecchia che incontriamo nelle prime pagine e che aleggia – letteralmente – su tutta la storia, testimoniando ogni cosa dal luogo di presenza assente in cui si trova. Come lei, anche noi lettori siamo investiti del potere di vedere tutto, ascoltare tutti. E vorremmo che questo omaggio immenso al valore della parola e del racconto non avesse fine.
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